Qual è il modo migliore per mettere in contatto i membri di una famiglia formata da un uomo, cento mogli, e decine di figli e nipoti? Creare un gruppo su FB.
Quando si dice una famiglia allargata.Acentus Akuku, il poligamo più celebre del Kenya che ha sposato cento donne nell’arco di 60 anni e soprannominato “Danger” per il suo appeal sulle donne, è morto all’età di 90 anni. Nickson Mwanzo, uno dei nipoti più grandi, ha creato una pagina ad hoc su Facebook per organizzare a dicembre una grande funerale di commemorazione: “Se fai parte della famiglia di Akuku iscriviti al gruppo e raccontaci di te”. Può apparire eccessivo ma, se si pensa che il prolifico nonnetto ha avuto una quantità di figli e nipoti tale da dover costruire due scuola apposta, usare il social network per individuarli tutti sembra davvero l’unico modo.
QUALITA’ O QUANTITA’? – Akuku Danger ha sposato la sua prima moglie nel 1939 e a 22 era già poligamo. Ne ha poi sposate altre 99 sopravvivendo a 12 di queste. Uno può pensare che Akuku abbia scelto la quantità a scapito della qualità. Le mogli affermano che in linea di massima fosse una famiglia armoniosa perché il patriarca non faceva favoritismi. Organizzava periodicamente riunioni di famiglia per fare il punto sui problemi, i successi, i conflitti e le novità che riguardavano le centinaia di parenti. Nonostante l’apparente armonia, questo tipo di famiglia appare particolarmente mortificante per le donne, e massacrante per gli uomini tant’è che molti affermano che in un Kenya in cui il ruolo della donna sta acquistando sempre più importanza, la famiglia in stile Akuku è un’alternativa sociale totalmente irrealistica.
SCIACALLI E IMBALSAMATORI – Intanto, sulla bacheca del gruppo c’è chi propone che il corpo di Akuku venga studiato, imbalsamato e esposto in un museo e c’è chi si spaccia per un cugino sperando in una fettina di eredità che, a questo punto, anche se fosse un bel gruzzoletto, una volta diviso non basterebbe a pagarsi una pizza.
Al Jean, produttore esecutivo dello show, ha confermato la collaborazione con il graffitaro misterioso. La sua storyboard ha dato vita alla sequenza cinica e struggente trasmessa durante la puntata di domenica sera.
Due giorni fa qui a Giornalettismo ci chiedevamo: ma la gag shock del divano della sigla dei Simpson trasmessa domenica scorsa è stata o non è stata creata dal mitico graffitaro mascherato Banksy? Dopo tutto, guardando la sigla, le sue tag apparivano sulla Scuola Elementare e sui cartelloni pubblicitari. E oggi puntuale è arrivata la conferma. C’è effettivamente il famoso street-artist irriverente dietro quello spezzone struggente e inaspettato. Ricordiamo: al posto della gag del divano, si sono mostrate, in forma di cartoon, le immagini di un’industria cinese ricavata nel ventre di una montagna, i cui operai ridotti in schiavitù passano la vita a produrre i gadget dei Simpson sfruttando e schiavizzando anche specie animali protette (il panda da soma, il delfino lecca-buste e l’unicorno fora-cd).
LA COLLABORAZIONE – In un intervista al New York Times il produttore dei Simpson, Al Jean afferma:”Dopo aver visto Exit through the gift shop, il film che Banksy ha presentato al Sundance Film Festival la scorsa primavera l’ho fatto contattare dalla casting director per proporgli di creare una couch-gag per noi. Dopo poco ci ha rimandato la story board. Nessuno di noi l’ha mai visto in faccia però sono certo che le tavole siano sue per la qualità del disegno. E poi se ne è assunto la paternità una volta messo in onda”.
FOX MAGNANIMA – Jean continua affermando che la FOX è stata gentile a permettere al suo show di “mordere la mano che gli dà da mangiare“. A parte un paio di modifiche imposte dalla rete, lo spezzone ricalca esattamente la story board di Banksy. Il produttore esclude inoltre che qualcuno ai piani alti della Fox possa indispettirsi dopo essere accusato di sfruttamento di manodopera adulta e minorile “Credo che ognuno debba avere la di dire che i buchi nei nostri cd li fanno gli unicorni. L’immagine finale della FOX circondata dal filo spinato è stata approvata dal’azienda per cui escludo che verrò licenziato a breve”. Quando si dice libertà d’espressione.
Terapia di gruppo, film di Jim Carrey, lezioni di celebrità: i 33 minatori si preparano ad riaffrontare la vita alla luce del sole. Con tutti gli obiettivi puntati contro
Il disastro della miniera di San Josè volge al termine. Uno alla volta i 33 minatori sono stati riportati alla luce e con loro 33 nuove vite. Sì perché quello che è certo è che per tutti le cose cambieranno radicalmente. 69 giorni sepolti vivi, al buio, isolati dal mondo e dalle persone care. L’umido, il freddo, la paura, i disagi. Mentre le squadre di soccorso progettavano carrucole, ascensori e cordicelle, c’era qualcuno che iniziava già a preparare il gruppo di minatori a quello che avrebbero affrontato di lì a (indefinitamente) poco.
JIM CARREY E SIGMUND FREUD – Jean Romagnoli, medico che ha monitorato il gruppo durante la prigionia ,afferma che i giorni, mesi o anni successivi alla liberazione saranno difficili sia per parenti e minatori e che questi, nessuno escluso, saranno vittima di stress post traumatico (il PTSD). Per questo, quando il gruppo non si intratteneva guardando film comici diJim Carrey, partecipava a sedute di terapia di gruppo organizzate dallo staff di psicologi di Camp Hope. Sull’Evening Standard si legge addirittura che per molti, la depressione o lo stress saranno talmente forti che alcuni rimpiangeranno il giorno in cui sono stati tirati fuori dalla miniera.
MALEDETTO IL GIORNO – Tra questi potrebbe esserci Yonni Barrios, il minatore che per la sua liberazione ha richiesto la presenza della moglie e dell’amante forse sperando che la gioia per la sua sopravvivenza fosse più forte del senso di dignità della consorte. Quest’ultima non si è presentata e anzi, nei giorni precedenti, aveva avvertito che il marito sarebbe stato sbattuto fuori di casa, miniera o non miniera “non lo voglio vedere neanche in televisione. Mi ha detto che sta bene e questo mi basta”.
LE 4 DONNE DEL MINATORE – Un altro che non avrà vita troppo facile una volta liberato è quel minatore (di cui non è stato reso noto il nome) che quotidianamente riceveva le visite di quattro donne: la moglie, la convivente, la madre di uno dei suoi figli e una che si è presentata come la sua fidanzata. Tutte le compagne dei minatori (a questo punto 33 e più) hanno trascorso la giornata precedente all’inizio della liberazione dal parrucchiere e facendo shopping di biancheria intima per salutare nel modo giusto i loro uomini stressati e stremati e sono pronte ad accettarli in qualunque condizioni questi si presentino perché “tornano dall’aldilà“.
REALITY MINIERA – Un ulteriore aspetto, che solo un’epoca come la nostra poteva aver partorito, è il seguente: ancora nessuno era stato salvato che già i minatori erano sottoposti a vere e proprie lezioni di celebrità. Stare chiusi in case di vetro full optional, isole, fattorie, navicelle spaziali, covi di rapitori e ora anche miniere rende famosi di quella celebrità da star, non da protagonista di una storia di cronaca. Una equipe di formatori li ha addestrati a centellinare dichiarazioni, speculare sulla propria notorietà e gestire i proventi di questa nuova vita. Le loro esistenze sono state passate al setaccio, tanto che via via che vengono liberati, c’è chi racconta al mondo in modo istantaneo la vita del fortunato riassunta in due o tre righe.
1200 OFFERTE – Per chi non volesse darsi alla vita facile dei reality e delle ospitate, e chi non se la sentisse di iniziare un’impresa di benedizioni in quanto miracolato, può sempre trovarsi un nuovo lavoro. I 33 minatori non hanno che l’imbarazzo della scelta perché, sempre che siano offerte vere e non di facciata o date dall’emozione, ci sono circa 1200 posti di lavoro pronti messi a disposizione da varie aziende grazie all’appello del governo cileno e nessuno di questi è da svolgere sotto terra. Ad esempio, il manager regionale della Chilean Safety Association, Alejandro Pino, dopo averlo sentito parlare a lungo e in modo puntuale sulle tecniche di sicurezza sul lavoro, ha offerto a Mario Sepulveda (foto), il secondo ad essere stato liberato, un posto come consulente per l’organizzazione di cui è a capo.
ESPERANZA – Ma c’è anche qualcuno che, stress post traumatico o meno, ricorderà sempre questi due mesi con una punta di tenerezza. Anche in questo caso, uno sceneggiatore di Hollywood non avrebbe saputo fare di meglio: esattamente un mese fa tutto il mondo ha assistito alla nascita della bimba del minatore Ariel Ticona a cui è stato dato il nome in quel più azzeccato: Esperanza.
Continua la proliferazione dei forum favorevoli all’anoressia, ma la politica ha le mani legate. Negli Usa ci pensa il Primo Emendamento, in Italia e in Francia le bozze si arenano in Parlamento.
“L’anoressia può essere una pratica pericolosa che non incoraggiamo. Se senti di avere un problema, di stare male fisicamente o di avere bisogno di aiuto per favore parlane con qualcuno che ti aiuti ad uscirne”.
I TRUCCHI DEL MESTIERE – Con questo incipit (o disclaimer che dir si voglia) il sito Ana’s Thinspiration se ne lava le mani ma poi prosegue con una guida precisa composta da 100 punti tra cui:
Bevi un bicchiere d’acqua ogni ora. Ti farà sentire piena.
Prima di uscire la mattina portati via una mela e tagliala in 8 spicchi. Mangiane due a colazione, due a pranzo e due a cena. Conserva le ultime due come snack. In questo modo il tuo corpo penserà di mangiare quattro volte al giorno ma in realtà quello che avrai ingerito sarà solo una mela. Il giorno dopo portati dietro un altro frutto ma assicurati di poterlo dividere in tre o quattro parti.
Se sei una fumatrice accenditi una sigaretta per contrastare la fame.
Se hai fame fai qualcosa di schifoso tipo dissotterrare vermi o pulire la lettiera del gatto. Ti passerà la voglia di mangiare.
Riempiti la camera di foto di modelle e portatene sempre una con te. Quando hai fame guardala, ti aiuterà a resistere.
Soprattutto questo ultimo punto rappresenta il leitmotif dei siti pro-anoressia che hanno invaso la rete da cinque anni a questa parte soprattutto grazie alla proliferazione dei blog e dei social network. Thinspiration significa prendere esempio da ragazze quasi scheletriche per avere sempre chiaro in testa il proprio obiettivo: diventare magre. Farlo ad ogni costo.
LA POLITICA INERME – Insomma, messaggi shock che possono essere intercettati dalle menti fragili di giovani ragazze alle prese con mille difficoltà adolescenziali. Oppure sono solo lo specchio di una situazione che esiste a prescindere dai blog e dai forum della “wannarexics”? La politica, ha le mani legate: tenta di gestire il problema come se un disturbo alimentare fosse un reato e come risultato fa immani buchi nell’acqua. In Italia, la proposta 1965 del 28 novembre 2008 presentata dalla deputata del PDL Beatrice Lorenzin reca il titolo “Introduzione dell’articolo 580-bis del codice penale, concernente il reato d’istigazione al ricorso a pratiche alimentari idonee a provocare l’anoressia”. L’obiettivo è quello di dare alla Polizia Postale la facoltà di oscurare i siti pro-anoressia e bulimia e di sanzionare i responsabili con pene detentive. In particolare “Chiunque, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, determina o rafforza l’altrui proposito di ricorrere a pratiche di restrizione alimentare prolungata idonee a procurare l’anoressia o la bulimia o ne agevola l’esecuzione, è punito con la reclusione fino ad un anno. Se il reato di cui al primo comma è commesso nei confronti di una persona minore degli anni quattordici o di una persona priva della capacità di intendere e di volere, si applica la pena della reclusione fino a due anni”. La proposta è al vaglio della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati da più di un anno a mezzo. Soliti tempi tecnici della politica italiana.
LIBERTA’ D’ESPRESSIONE SOSPESA – Anche in Francia l’Assemblea Nazionale ha passato una proposta di legge presentata dalla deputata dell’UMPValérie Boyer, che prevede pene pecuniarie fino a 45 mila euro e fino a tre anni di reclusione per coloro che, utilizzando qualunque mezzo, istighino al dimagrimento estremo. A chi grida al bavaglio il Ministro della Salute Roselyn Bachelot che dare alle ragazze consigli su come ingannare il dottore e sui cibi più facili da vomitare e spingerle ad autopunirsi nel caso mangino qualcosa non può essere un’attività tutelata dalla libertà d’espressione. Nonostante questo, come la cugina italiana, la proposta di legge della Boyer si è arenata in Senato dove attende ancora di sapere quale sarà la sua sorte.
ALL’OMBRA DEL PRIMO EMENDAMENTO - Susan Scafidi, docente di diritto alla Fordham Law School di New York intervistata dal Los Angeles Times ha affermato che una legge anti-siti pro-anoressia come quelle proposte in Italia e in Francia non avrebbe alcuna speranza negli Stati Uniti dove qualunque tipo di restrizione viene scardinata in nome del Primo Emendamento che tutela la libertà di espressione. “A meno che la scienza non stabilisca una connessione diretta tra i messaggi dei siti pro-ana e l’innesco del disturbo alimentare la legge non può impedire agli individui di incoraggiare la magrezza anche estrema come standard di bellezza”. Insomma, la politica è impotente rispetto all’universo Pro-Ana.
PRO ANA E INTERNET – Ad oggi, inserendo Pro-Ana come chiave di ricerca vengono prodotti circa 8 milioni di risultati. Gli utenti preoccupati per adesso possono solo contare su alcuni host volenterosi che monitorano i siti e i blog che ospitano e prendono provvedimenti che vanno dalla apposizione di schermate di avvertenza in stile “lasciate ogni speranza voi che entrate” fino ad arrivare alla totale rimozione della pagina. Yahoo e Facebook si sono sicuramente mosse in questa direzione mentre altri, come ad esempio i membri dell’Associazione Olandese dei Provider di Hosting hanno fatto spallucce . Hans Bennink, presidente dell’associazione, ha infatti affermato che “Internet è lo specchio del mondo e come tale è pieno di aspetti indesiderabili. Pertanto non può essere compito dei provider controllare tutti i contenuti presenti in rete e agire su quelli che il governo ritiene indesiderabili”. La malattia irrompe quindi nella rete esattamente come altri aspetti della vita umana. Anche la blog community di Live Journal ha espresso le sue perplessità sull’efficacia dell’oscuramento come possibile soluzione al problema. Theresa, un’operatrice del LiveJournal Abuse Prevention Team, rispondendo ad un utente che intimava la chiusura di un blog pro-ana ha così risposto: “Sospendere le community pro-anoressia non farà guarire i suoi iscritti. Invece, lasciandoli esprimere, si otterranno vari benefici. Intanto i membri dei gruppi comprendono di non essere i soli ad avere una visione distorta del proprio corpo sentendosi così meno soli nel proprio disagio, inoltre, mantenendoli in rete, si aumentano le probabilità che amici e parenti scoprano la loro condizione e li aiutino nella ricerca di un sostegno clinico”.
EFFETTI POCO CHIARI - Insomma, le proposte di legge si affossano e gli internauti sembrano doversi rassegnare a navigare in un mare pieno di insidie. Che sia però un panico ingiustificato? Esistono delle statistiche che provino che la proliferazione di questo tipo di siti web ha portato all’aumento delle vittime di disturbi alimentari? Per adesso quello che sappiamo grazie ad una ricerca dall’esito piuttosto prevedibile effettuata l’anno scorso presso l’università belga di Leuven e pubblicata sul numero 17 dell’European Eating Desorders Review è che i soggetti dai 13 ai 17 anni di età che entrano a contatto con i contenuti pro-ana manifestano in seguito un abbassamento di autostima, una visione distorta del proprio corpo e una marcata propensione alla ricerca della perfezione. Il fenomeno è talmente recente e in continua evoluzione che non è ancora possibile tracciarne gli effetti e trarre delle conclusioni che siano scientifiche e portatrici di soluzioni. La politica tenta di legiferare basando i propri provvedimenti su un non ben identificato “buon senso” ma è destinata a fallire perché questo in rete è un concetto totalmente flessibile e soggettivo. Però le parlamentari si sbracciano, sventolano bavagli come se il primo passo verso la guarigione fosse rintuzzare il sintomo piuttosto che imparare a riconoscerlo.
La famiglia la costringeva a fare film a luci rosse per poter restituire i soldi alla banca: “Dimostrava più anni!”Quando si dice “contribuire alle spese“. In questo caso la tredicenne di Erfurt (Germania) costretta a mostrarsi in film porno di bassa lega probabilmente avrebbe preferito un lavoretto al supermercato o fare la babysitter come tutte le ragazzine alle prime armi.
CAPITALIZZARE SULLA FIGLIA – Nel 2000, la madre Anne Rose, 46 anni, e il patrigno Holger, 51, avevano appena comprato casa e per questo avevano acceso un mutuo da 750 mila marchi tedeschi, circa 40 mila euro. Col passare degli anni e con l’aumento degli interessi la coppia in serie difficoltà economiche pur di non perdere la casa hanno deciso bene di capitalizzare sulla figlia, avviarla al porno, investire (costruendo una stanza apposita, plausibilmente piena di frizzi, lazzi e lingerie da urlo) e togliersi così il cappio del debito.
NUOVI IMPUTATI – Ma la notizia non è questa: i genitori sono stati infatti condannati nel 2006 e si sono fatti rispettivamente due anni e mezzo e cinque anni e dieci mesi di galera visto che il patrigno è stato anche colpevole di aver abusato della ragazzina più volte partecipando ai fim. Il caso è stato riaperto perché sono spuntati altri due indagati. Frank P. di 46 anni e Fred S. (foto) di 49 sono gli istigatori. Amici della coppia indebitata, sono stati loro gli autori della grande idea: secondo l’accusa, Frank aiutò la famiglia ad avviare la piccola alla squallida carriera mentre Fred si offrì come cameraman. Mentre quest’ultimo nega tutto affermando di aver incontrato la ragazzina nel 2001 per la prima volta e di non aver mai “lavorato” con lei, Frank ammette tutto: “la mamma era totalmente d’accordo e io ero convinto che la ragazzina avesse 14 anni”. Come sempre nessuno ha pensato alle ripercussioni che un’esperienza del genere potesse avere sulla vita e sulla salute mentale della ragazza che ha verosimilmente la vita abbastanza rovinata.
RAGAZZINE PERDUTE – Soli quattro giorni fa la notizia di un’altra teen-ager tedesca, Kathrine di 17 anni (foto), abusata più e più volte dal padre. La sua vicenda finì nel più tragico dei modi visto che la ragazza dall’esistenza tormentata decise di imbottirsi di sonniferi e di buttarsi sotto un treno.
Il presidente iraniano in visita in Libano per due giorni infiamma le folle e ammonisce Usa e Israele: i primi non ci isolino e i secondi facciano le valigie.Ieri il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad è arrivato in Libano per una due giorni di tour. Anzi, tournée, visto che l’accoglienza riservatagli da Rasrallah e i suoi Hezbollah è stata da vera e propria rock star. In particolare, a Bint Jbeil, villaggio al confine con Israele pesantemente bombardato quattro anni fa durante il conflitto Israele-Libano, Ahmadinejad è stato ricevuto con ovazioni, bandiere iraniane, poster e volantini che recitavano “Benvenuto al protettore del Libano“. Joel Greenberg, reporter del Washington Postdescrive un contesto carnevalesco, mille palloncini colorati liberati in cielo all’arrivo del presidente e musica a tutto volume.
VIA LA FECCIA ISRAELIANA – E’ proprio in questa cittadina, simbolo della resistenza di Hezbollah contro la nazione della Stella di Davide, che Ahmadinejad ha pronunciato come è nel suo stile, parole più che incendiarie rivolte a Israele: ” Tutto il mondo deve sapere che Israele non esisterà più. Gli occupatori dovranno fare le valigie e tornare a casa propria. La Palestina verrà liberata dalla morsa della feccia sionista. Voi gli avete fatto già assaggiare l’amaro sapore della sconfitta”. La visita è poi proseguita a Qana, altra città simbolo dell’eterno conflitto con Israele: nel 1996 infatti un razzo israeliano aveva ucciso 100 persone che avevano trovato riparo in un edificio delle Nazioni Unite e dieci anni dopo un altro attacco aveva tolto la vita a 26 civili. Qui il presidente iraniano ha reso omaggio ai defunti.
IRAN HANDICAP DEL LIBANO – Molti reputano che la visita di Ahmadinejad e l’entusiasmo della gente siano la prova del fatto che le posizioni filo-occidentali stanno perdendo nettamente terreno e si preoccupano che questo possa poi risultare in un nuovo conflitto con Israele con tutto ciò che comporta. Libano e Iran sempre più vicini quindi. “Il Libano diventerà l’avanposto iraniano sul Mediterraneo” prevede Ahmad Fatfat, parlamentare lontano dalle posizioni di Hezbollah. Va da sé che Israele la pensi esattamente come lui. L’Iran influenza il Libano attraverso Hezbollah. E’ questo che ha impedito al Libano di intraprendere con noi percorsi di pacificazione” ha affermato Mark Regev, portavoce del Primo Ministro israeliano Binyamin Netanyahu. Hezbollah/Iran sono quindi considerati un handicap che impedisce al Libano di muoversi verso un clima di distensione. Altre testimonianze raccolte dal quotidiano di Washington da fonti che preferiscono restare anonime descrivono la visita di Ahmadinejad come quella di un generale che ispeziona le truppe, sensazione che pare confermata dal fatto che il presidente iraniano, durante un comizio di due giorni fa aveva definito il Libano “un università della Jihad” dopo aver affermato lo stretto rapporto tra i due paesi “che si vogliono bene e hanno molto in comune, a partire dai nemici. Mi sento come se fossi a casa mia”.
CE N’è ANCHE PER OBAMA – “Gli Stati Uniti sono avvisati: se cercherete di isolarci, noi vi metteremo all’angolo in Libano e in ogni altro paese”, ha affermato Ahmadinejad oggi. Un quotidiano pan-arabo di stanza a Londra, Al Hayat, si è posto delle domande interessanti: “l’Iran è capace di riempire il vuoto lasciato dall’Unione Sovietica e imporsi agli USA come guardiano e interlocutore unico riguardo alla polveriera medio-orientale?”. Lo scopriremo solo vivendo. Nel frattempo gli Stati Uniti hanno condannato la linea dura tenuta dal presidente iraniano in Libano perché rischia di minare la stabilità già precaria della regione.
AL QAEDA CONTRO LA COSPIRAZIONE – Ma non tutti sono stati entusiasti di questa visita e di questo ulteriore sigillo di fratellanza tra Iran e Libano: qualche giorno fa un gruppo chiamato Abdullah Azzam Brigades ha fatto sapere che il Libano crollerà se si alleerà con l’Iran. Il gruppo ha continuato dicendo che avrebbe fatto di tutto per fermare questa cospirazione. Affiliato ad Al Qaeda e nominato così in onore del mentore spirituale di Osama Bin laden, il gruppo in questione si è reso responsabile di attacchi missilistici partiti dal Libano verso Israele. Per questo non è chiaro il motivo per cui si oppone all’appoggio di un acerrimo nemico di Israele come Ahmadinejad.
Showmen di Dio, spillano denaro anche a chi non ne ha. Promettono la felicità e guariscono gli infermi. Molti diffidano ma sono ancora troppi quelli che ci cascano.
In Italia non fanno presa, perché un contesto in cui la chiesa di Roma è radicata profondamente e il sistema radiotelevisivo è pieno di barriere legislative e politiche all’accesso, non è terreno fertile per gli avventurieri del cristianesimo. In quelle nazioni in cui spunta una congregazione nuova ad ogni angolo e dove il cristianesimo è arrivato di riporto, via colonizzatori o via missionari, i liberi interpretatori della religione cristiana hanno vita facile e prosperosa.
LE ORIGINI – I televangelist, predicatori carismatici che radunano folle oceaniche alla ricerca del miracolo e della rivelazione divina, usano, come dice la parola stessa, anche e soprattutto la televisione per allargare al massimo il proprio seguito. E’ un fenomeno nato negli Stati Uniti, contesto perfetto per il gran numero di fedeli cristiani e per il regime di quasi totale deregulation del sistema televisivo. In teoria chi ha i soldi per farlo, può avere accesso al mezzo senza alcun tipo di ostacolo. Proprio durante la Grande Depressione del 1929 i primi predicatori itineranti finanziati solo dalle donazioni dei fedeli hanno iniziato a farsi vedere e ha riscuotere i primi successi. Dare conforto e incoraggiamento ad una popolazione sull’orlo del baratro diventò un’attività redditizia e di rapida diffusione. Fu però dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale che l’uso del mezzo radiofonico e televisivo a scopi di vangelizzazione ebbe inizio.
SHOWMEN DI DIO – I televangelist si accorsero ben presto che trasmettere la messa in tv non sarebbe stato sufficiente. Il mezzo richiedeva che la funzione stessa si modificasse per andare a costituire un vero e proprio show dominato da shock e colpi di scena degni di un varietà o di un film coinvolgente. Il predicatore doveva strafare, calcare la mano, esagerare nei modi e nei messaggi. Rendere la vista ai ciechi, guarire gli infermi, leggere il pensiero, cadere e far cadere in trance. Dovevano essere la trasposizione umana di Dio e incantare la gente con il proprio carisma, il proprio fascino e in alcuni casi il proprio bell’aspetto. Avvolto in vestiti scintillanti e inamidati, le scarpe lucide, il piglio da agitatore e l’immancabile assistente, il televangelist provetto riempie i palasport e vive delle offerte dei discepoli con cui prima si compra una sede, poi una più grande, poi se la costruisce dalle fondamenta, con i frontoni e i capitelli corinzi. Viaggia in auto di lusso, porta occhiali scuri come una rock star, ogni tanto fa battute di spirito perché la gente lo deve sentire come uno del popolo. Un uomo dai poteri straordinari che però si dà alla gente. Magnanimo e potente riscuote le attenzioni romantiche delle donne della congregazione e spesso e volentieri non disdegna di “usufruire”.
LISTINO DIVINO – La chiesa tradizionale, sia cattolica che protestante, non vede di buon occhio le telecongregazioni per vari motivi. Innanzitutto molte di queste non rientrano in nessuna categoria religiosa preesistente affermando quindi in poche parole di non dover rendere conto a nessuna istituzione superiore. In secondo luogo, la spasmodica ricerca di denaro e la gestione dello stesso che, con un eufemismo potremmo definire poco trasparente, rischiano di diffondere la falsa credenza che ci sia un qualche nesso tra l’entità dell’offerta e la benedizione ricevuta. In poche parole, agire come se Dio avesse un listino e ricompensasse solo i fedeli generosi. Come emerge dalle ricerche della Trinity Foundation, un’organizzazione nata negli anni Settanta al solo scopo di indagare sugli scheletri nell’armadio dei televangelist, la ricchezza di questi viene da loro giustificata come la prova concreta di questo concetto. Il predicatore è ricco perché Dio lo ricompensa per la fede e la dedizione. Chi vive nella miseria non è dedito abbastanza. Ecco perché spesso e volentieri anche i fedeli meno abbienti si svenano per fare laute offerte nella speranza di essere ricompensati con la stessa moneta (preferibilmente di più). “Si raccoglie quello che si semina. La gente ha smesso di mietere perché ha smesso di seminare” ammonìRodney Howard-Browne, un predicatore di Tampa (Florida) nel tentativo di convincere i suoi discepoli a costruirgli una nuova chiesa nello Stato e promettendo a tutti che Dio li avrebbe ricompensati con una casa a testa. Ancora, Randy White, anche lui operativo in Florida, andò oltre: “Se siete al verde chiedete a colui che vi siede accanto di prestarvi 100 dollari. Se non li ha fatevi dare un assegno in bianco. Questo è il momento di donare.”
PROFETA E GUARITORE RECIDIVO – Abbiamo detto quindi che il denaro dei fedeli è il pilastro su cui si fondano tutte le telechiese. Ma l’offerta libera, per quanto finora sia stata una modalità più che soddisfacente ed efficiace, resta comunque un guadagno poco prevedibile. Ecco quindi la vendita online con tanto di listino e telepromozione. Libri di auto aiuto, cd, dvd, gadget e i prodotti più disparati sono sicuramente la fonte di una buona fetta dei proventi di queste organizzazioni. Il paladino di questa attività a latere è sicuramente il Reverendo Peter Popoff famoso perché nel 1983 alcuni suoi trucchetti furono svelati durante il Tonight Show di Johnny Carson dal prestigiatore James Randy dedito a sconfessare le teorie paranormali e le pseudoscienze. Durante le funzioni Popoff era solito coinvolgere qualcuno del pubblico e indovinarne nome, cognome e problemi fingendo che fosse Dio a suggerirgliele. In realtà riceveva le informazioni attraverso un auricolare dopo che i suoi assistenti, camuffati da fedeli, avevano ottenuto i dati dei malcapitati. Autoproclamatosi profeta e guaritore nei primi anni Ottanta è sopravvissuto alla grande alla bufera mediatica di cui sopra e tuttora è a capo della Peter Popoff Ministries che vive grazie ai proventi della vendita di curiosi prodotti come la “Miracle Manna” (la sgranocchi e ti fa la grazia), e la “Miracle Spring Water” proveniente da una fonte magica situata vicino a Chernobyl e che riuscirebbe a curare anche il cancro (35” del video).
CANCELLA IL DEBITO - L’ultimo nato dalla fervida creatività del longevo televangelist è il “Supernatural Debt Cancellation Kit” che aiuta i fedeli generosi ad eliminare i debiti. Al passo coi tempi che corrono Popoff si è concentrato su una tematica specifica cara ai suoi fedeli (e non solo). Fare soldi. Bast comprare il kit formato da acqua miracolosa, libri vari, un portafogli intarsiato e una croce di legno e per magia un “Divine Transfer“, un bonifico soprannaturale (sic), si materializzerà direttamente nel tuo conto in banca.
CIARLATANI E DELINQUENTI – La gente che non si lascia abbindolare li considera dei cialtroni, dei truffatori che si approfittano della gente in difficoltà per riempirsi le tasche. Ma c’è di più. Succede che a volte i santoni, protetti dalla propria comunità che gli idolatra e li assolve da qualche errore, vadano oltre. E’ di meno di un mese fa la notizia che il predicatore Eddie Long (foto), capo della New Birth Missionary Baptist Church in Georgia è stato denunciato da quattro ragazzi per molestie sessuali e coercizione. Il pastore, a capo di una chiesta da 25 mila adepti era solito, secondo il racconto dei quattro ragazzi, riempirli di regali, macchine e viaggi per avere in cambio favori sessuali. Da notare inoltre che il predicatore aveva sempre riservato parole di fuoco nei confronti dell’omosessualità. Restando in questo ambito, ricordiamo che pochi mesi prima George Alan Rekers, altro predicatore contemporaneo anche lui crociato contro l’omosessualità, era stato beccato dai reporter del Miami New Times in compagnia di un escort ventenne. Negli ultimi 70 anni una trentina di Televangelisti si sono resi responsabili di evasione fiscale, truffa, molestie sessuali e non, oltre ad aver approfittato di milioni di persone e dei loro soldi. Ora. Se è vero che si raccoglie quello che si semina, sarà pur vero che chi semina vento raccoglie tempesta. Prima o poi.
Un’inchiesta del Wall Street Journal rivela che, attraverso le apps, il social network invia le nostre informazioni sensibili alle agenzie pubblicitarie.Il Wall Street Journalavverte. Quando si utilizza un’applicazione di Facebook i dati sensibili dell’utente vengono inviati a terzi, anche se questi crede di aver blindato il suo profilo grazie ai privacy settings apparentemente a prova di bomba. Ma a chi vengono mandati i dati degli utenti? Le aziende creatrici delle applicazioni che oramai spuntano come funghi spesso specializzandosi in una sola applicazione dall’incredibile successo (vedi FarmVille o FamilyTree), secondo le ricerche del quotidiano finanziario, una volta ricevute le informazioni di coloro che si dimostrano intenzionati ad usufruire del servizio di turno, le rendono disponibili all’elaborazione da parte di agenzie pubblicitarie. Ciò che quest’ultime operano è una vera e propria integrazione dei dati che già posseggono su un utente con le nuove informazioni derivate dalle apps per costruire un profilodello specifico internauta il più possibile veritiero e completo. Questo per creare una modalità e un contenuto di comunicazione pubblicitaria che sia il più possibile personalizzata e, di conseguenza, efficace.
SBADATI O FURBETTI? – Niente di nuovo. La notizia non è certo che alcune agenzie ci studiano per persuaderci meglio. Il problema, annoso a questo punto, è che gli utenti che inviano i propri dati per ricevere le apps in cambio non autorizzano questo secondo passaggio mentre le dieci aziende produttrici di giochi e servizi di FB più diffusi tra il mezzo miliardo di iscritti (FarmVille, Texas HoldEm Poker e FrontierVille incluse) puntualmente inviano i Facebook ID degli utenti ad agenzie pubblicitarie che li conservano e elaborano. Addirittura, il Wall Street Journal afferma che tre di queste dieci aziende inviano a terzi anche i dati di un amico dell’utente di turno. Poi ci sono i furbi: RapLeaf Inc., secondo il WSJ, oltre ad essere un produttore di app è anche un’agenzia di ricerche pubblicitarie. Resta tutto in casa quindi. Ricevo il Facebook ID attraverso le mie applicazioni e poi lo integro nel mio già ben nutrito database contenente i dati di milioni di internauti e poi rivendo il pacchetto a una dozzina di agenzie pubblicitarie.
BENEDETTE APPS - Le applicazioni sono lo strumento migliore per far sì che gli utenti raccontino di sé senz accorgersene. Giocare a carte, curare il proprio orto virtuale, creare quiz, rispondere ai test, ricreare il proprio albero genealogico sono tutte attività che, secondo i dati di Facebook, il 70% degli iscritti pratica ogni mese. L’aspetto paradossale è che le operazioni condotte da queste aziende sono totalmente in contrasto non solo con i termini del servizio di Facebook ma anche con i loro regolamenti interni. Zynga ad esempio, l’azienda creatrice di Farm Ville, nelle sue politiche di privacy afferma chiaramente che nessuna informazione identificabile può essere trasmessa a terze parti. La portavoce ha in seguito garantito che l’azienda collaborerà con Facebook per riportare il trattamento dei dati alla normalità ma la conclusione pare una sola. Oramai pare che gli utenti si debbano rassegnare al fatto che ogni due mesi si apra una falla nel sistema di protezione dei loro dati. Non sarà il caso che un po’ di precarietà sia lo scotto da pagare per chi su Facebook si è rifatto una vita?
Una ricerca dell’Institute of Race Relation è giunta ad una conclusione shock: le politiche di immigrazione inglesi hanno ucciso quasi 80 migranti in quattro anni.
Chi l’ha detto che l’unico modo per morire di immigrazione è a bordo di una carretta del mare? Un articolo del Guardian che si riferisce al contesto britannico certamente mai interessato dal fenomeno scafista afferma che negli ultimi quattro anni sono 77 i migranti e i residenti asilo morti per cause connesse alle politiche di immigrazione britanniche.
ESTREMI RIMEDI – Così si chiama il dossier stilato dall’Istituto per le Relazioni Razziali e che punta il dito contro la gestione dei flussi migratori da parte dello Stato. Secondo il report, su 77 decessi, “solo” 15 sono avvenuti nel tentativo di approdare nel Regno Unito (nella stiva di aerei, nei rimorchi dei tir o aggrappandosi ai treni) mentre la stragrande maggioranza sono stati causati indirettamente dalle situazioni di estrema precarietà in cui versano gli immigrati e i richiedenti asilo. Si parla quindi di morte per negligenza ospedialiera, suicidio, per inappropriatezza delle condizioni abitative, per maltrattamenti all’interno degli istututi detentivi, per lavoro nero senza alcun tipo di standard di sicurezza e ovviamente di decessi come tragiche conseguenze di rimpatri indiscriminati.
MORTI DI PRIGIONE - Il Guardian punta i riflettori su alcune vecchie vicende di cronaca che si collocano perfettamente in questa dinamica di “delitto di Stato“. Ricorda Hagar Idris (foto), il diciottenne sudanese che il giorno di Natale del 2007 si impiccò nella sua cella dopo che gli era stata data erroneamente la notizia del suo rimpatrio. Oppure Aleksey Baranovsky, che, anch’egli in galera, tentò di tagliarsi le vene perché lasciare la Gran Bretagna avrebbe significato per lui la morte per mano della mafia russa. Ancor più recente (solo una settimana fa) è la storia dell’angolano Jimmie Mubenga, padre di cinque figli, morto dopo una colluttazione con le guardie durante il volo di rimpatrio.
MEGLIO MORTI CHE CACCIATI – Il numero che fa più impressione è quello di coloro che, una volta ricevuta la notizia del proprio rimpatrio preferiscono togliersi la vita piuttosto che tornare in patria. L’Istituto ne conta una trentina in quattro anni ma, di nuovo, il numero reale è destinato ad essere maggiore di questo. Un esempio lampante è il caso del giovane Osman Rasul, suicida dopo che la sua domanda di asilo era stata bloccata e poi bocciata. Lo stato di precarietà e di fragilità psicologica in cui il sistema di immigrazione britannica lo teneva permanentemente lo ha prima mandato in depressione e poi giù da un palazzo di sette piani di Nottingham. Viveva in un limbo. Profugo curdo-iracheno si era rifugiato in Gran Bretagna nel 2001 in cerca di protezione e aveva perso il suo status perché l’organizzazione che lo finanziava era fallita. La relazione con la madre dei suoi due figli era finita , non aveva alcun diritto di lavorare e campare con le 10 sterline al mese date dal Nottingham Refugee Forum stava diventando frustrante e umiliante. Corin Faife, amica di Rasul, ha affermato che lo Stato porta i richiedenti asilo al suicidio perché li tiene in un limbo senza apparente uscita. Non possono lavorare e vivono grazie alla carità della gente, che quando non li pesta, li compatisce. In seguito alla disgrazia sono stati raccolti dei fondi per rimpatriare la salma e per creare campagne di sensibilizzazione sull’argomento.
SISTEMA CHE TRASUDA RAZZISMO – L’autore del report, il ricercatore Harmit Athwal ha sottolineato che il razzismo permea tutto il processo di gestione dei flussi migratori e delle richieste di asilo politico e l’approccio del mass media. “I richiedenti asilo vengono demonizzati dai giornali e delle televisioni seguendo uno schema populista. Per aggradare i governi che in tutta Europa si stanno riscoprendo sempre meno tolleranti, anche la Gran Bretagna ha iniziato ad accelerare i rimpatri e a terrorizzare i migranti” che, aggiungiamo noi, a volte preferiscono morire piuttosto che farsi ammazzare a casa propria.
Come trasformare un tentativo di censura in una campagna lampo di raccolta fondi in favore della ricerca contro il tumore al seno. Usando Twitter e un po’ di ironia.
Quando si dice la mente imprenditoriale al servizio di una giusta causa. Immaginate di postare una foto su Twitter. Qualcuno se ne lamenta e vi chiede di rimuoverla. Voi di tutta risposta chiedete aiuto alla rete aggiungendo che per ogni persona che inserisca il tuo tweet tra i favoriti donerai farai una donazione per la ricerca sul cancro al seno.
CREATIVO E UTILE - Questo è esattamente quello che è successo ieri pomeriggio. Un utente di Twitter che risponde al nome di Mike Montero ha scelto come sfondo per il suo profilo un nudo diJohn Currinche raffigura l’attrice Bea Arthur con il seno in bella vista. Un altro utente di Twitter gli ha intimato di sostituire l’immagine con un’altra che non turbasse la sensibilità dei bambini. Montero, ha così partorito un’idea creativa, utile e intelligente. Ha promesso di donare 10 cents alla ricerca contro il cancro per ogni utente che lo sostenesse in questa “battaglia” contro la censura e contro i bacchettoni. Inoltre, ha dato inizio ad una catena di offerte per l’American Cancer Societyche hanno sfondato il tetto dei 10 mila dollari in meno di 12 ore. In questo momento Mikesta calcolando quanto gli toccherà sborsare ma se non vuole essere espulso da Twitter per aver preso in giro migliaia di utenti su un tema così delicato come il cancro al seno sarà bene che la donazione la faccia davvero. Questa iniziativa, che sia stata del tutto spontanea o che sia stata una campagna virale programmata nel dettaglio, cade durante il mese della prevenzione e della ricerca contro il cancro al seno che ogni anno attacca un milione di donne nel mondo.
QUALCHE DATO – Come si legge bene sul sito Ribbonofpink.com, il tumore al seno è attualmente il tipo di tumore più comune: si stima che siano più di 4 milioni le donne sopravvissute ad un tumore al seno diagnosticato negli ultimi cinque anni. Tuttavia, il tumore al seno è la causa più comune di decesso per cancro tra le donne in tutto il mondo: con oltre 410.000 decessi ogni anno, il tumore al seno rappresenta circa il 14% di tutte le morti per cancro nelle donne e l’1,6% di tutte le morti di donne nel mondo. I tassi di incidenza aumentano anche del 5% annuo nei paesi con carenza di risorse ecco perché è fondamentale finanziare la ricerca. Oltre il 75% delle donne a cui viene diagnosticato un tumore al seno ha almeno 50 anni e circa l’85% delle donne a cui è stato diagnosticato il tumore al seno non ha né una sorella né la madre colpite da tumore al seno quindi l’ereditarietà non è un’alibi. Facciamoci quindi controllare bene e spesso.
Aumentano i casi di esperienze oniriche consapevoli. Studi accademici confermano che persone creative e responsabili fanno spesso “sogni lucidi”.
A chi non è mai capitato di fare un sogno e di avere la sensazione di avere il controllo sullo stesso? Prendere decisioni su ciò che si fa e si dice, spostare oggetti, rivolgersi a qualcuno? Si chiamano “sogni lucidi” e sempre più persone si trovano ad averne. Proprio come nel film Inception di cui ci siamo occupati a più riprese, questi sogni sembrano manipolabili da chi li fa: è proprio la sensazione di consapevolezza di sognare che fa sì che questi si differenzino dai sogni comuni. Un interessante articolo del quotidiano britannico Daily Mail fa il punto della situazione.
SAPERE PORTA A SOGNARE - Cosa causi i “sogni lucidi” è ancora incerto: studi effettuati presso l’Università di Swansea, guidati dal professor Mark Blagrovedimostrano ad esempio che spesso è proprio il venire a conoscenza di questa tipologia di sogni che porta un individuo ad averne esperienza: “Anche solo il fatto di leggere qualcosa sull’argomento potrebbe avere un ruolo. Spesso studenti che seguono le mie lezioni sul tema poi mi contattano per raccontarmi di aver fatto sogni su cui erano in controllo” afferma il professore durante un’intervista. Inoltre, afferma sempre il docente, pare che la funzione di questi sogni sia quella di rielaborare i ricordi “non processati” da parte del soggetto visto che attraverso gli studi emerge che le informazioni rievocate sono ricollocabili cronologicamente dai 5 ai 7 giorni prima dell’esperienza onirica.
CREATIVI E RESPONSABILI – Mentre altre ricerche rivelano che sempre più soggetti hanno a che fare con questo tipo di esperienza onirica (il dato è cresciuto dal 10 al 40% in vent’anni), l’Università di Harvard assicura che l’attività cerebrale che interessa questi sogni è frenetica, come se l’individuo sognante fosse sveglio e occupato in mansioni impegnative. Gli studi sui sogni hanno anche stilato un profilo dei soggetti più predisposti ai sogni lucidi: sono creativi, consapevoli dei problemi e sono inclini a prendersi le responsabilità per ciò che accade piuttosto che ad assistere agli avvenimenti come spettatori.
CADERE E PERDERE DENTI – Gli incubi in generale, non solo quelli lucidi, presentano spesso elementi che si reiterano nel tempo e nei campioni di analisi: sognare di cadere, scappare o restare paralizzati, essere in ritardo o perdere le persone care sono tutti incubi che tutti noi abbiamo fatto almeno due volte nella nostra vita. In particolare, continua il Daily Mail, gli uomini sembrano più inclini a sognare di essere licenziati o di aggredire ed essere aggrediti mentre le donne sognano più spesso di essere spogliate, di essere molestate sessualmente o di perdere capelli e denti: quest’ultima categoria di incubi pare essere connessa alla precarietà del proprio aspetto e alla paura che questo si deteriori con il tempo. In generale sembra comunque che le donne siano più predisposte agli incubi e che ne restino più influenzate una volta sveglie.
Il ministro della Giustizia ribadisce che il governo non ha alcuna intenzione di abolirle e attacca Api, Fli e Udc che ne eliminerebbero 72 con un risparmio di 1 milardo di euro all’anno.
Ok, se ancora qualcuno non lo avesse capito: no, il governo non vuole eliminare le province. Nonostante questo fosse uno dei proclama sbandierati dal Pdl in campagna elettorale, approfittando momenti di distrazione della Lega, sempre più spesso i membri dell’Esecutivo ribadiscono il concetto. Le province si tengono, gli sprechi sono altrove.
FUORI TEMPO MASSIMO – L’ultimo ad esprimersi sull’argomento è stato il Guardasigilli Alfano che ieri, ospite a Catania dell’assemblea nazionale dell’UPI, l’Unione delle Province d’Italia, ha cassato la proposta di Alleanza per l’Italia, Futuro e Libertà e UDC di eliminare 72 province con meno di 50 mila abitanti e di declassare le 38 restanti in enti di secondo livello composti dai sindaci dei comuni dell’area interessata. La proposta di Lanzillotta (API), Galletti (UDC) e Bocchino (FLI) si pone come obiettivo il risparmio di 1 miliardo di euro annui da poter così dirottare verso la ricerca. La Lega si è già espressa in merito, evidentemente contro. Michelino Davico, sottosegretario leghista al Ministero dell’Interno con delega agli enti locali ha definito la proposta “fuori tempo massimo” e ha aggiunto che “Il Parlamento ha deciso di prendere un’altra strada” che passa per le autonomie e per la creazione di aree metropolitane.
LA VERSIONE SICILIANA – “Il Governo non ha nessuna intenzione di appoggiare proposte che cancellino le province», ha affermato a Catania il Ministro della Giustizia che ha anche duramente criticato le proposte di riforma istituzionale e dell’assetto amministrativo territoriale che interessano la Regione Sicilia. La giunta Lombardo, nel suo progetto di riforma, prevede la trasformazione di Palermo, Catania e Messina in vere e proprie aree metropolitane che inglobino e mettano in rete il territorio circostante. La popolazione siciliana interessata da questo tipo di nuova fisionomia amministrativa sarebbe pari al 60%. Il restante 40% verrebbe amministrato attraverso consorzi di comuni, misura prevista dalla natura di regione a statuto speciale che caratterizza la Sicilia. Alfano ha liquidato il progetto definendolo uno strumento per eliminare gli enti ostili alla Giunta e far proliferare i consorzi e i relativi sprechi.
LE PROPOSTE - L’asseblea di Catania ha infine inserito nel documento finale la richiesta urgente di un incontro con il Premier per avere chiarezza sulle intenzioni del Governo sul tema province e federalismo fiscale (che evidentemente non è ancora chiaro neanche agli addetti a lavori): in tal senso, Upipropone la compartecipazione ad un grande tributo erariale come Irpef e Iva, la compartecipazione a un tributo regionale per la copertura della spesa corrente e lo sblocco del 4% di residui passivi contenuti nelle casse delle province allo scopo di saldare gli investimenti già fatti.
Thomas Beatie, il “mammo” che nel 2008 sconvolse il mondo annunciando di aspettare un bambino ha allargato la sua famiglia partorendo il terzo
Nel 2008, le immagini di un uomo, barbuto e baffuto, con il pancione fecero il giro del mondo in poche ore. Si trattava di Thomas Beatie, ora trentaseienne, che dopo essersi fatto asportare il seno e d aver avviato la cura ormonale per passare dal sesso femminile al maschile aveva però deciso di mantenere l’apparato riproduttore di donna e poter quindi dare alla luce dei figli. Il fatto che la moglie fosse sterile era stata la motivazione che spinse l’oramai uomo a sottoporsi ad effettuare un’autonseminazione usando lo sperma di un donatore anonimo grazie alla quale la coppia ha avuto ben tre figli a distanza di un anno l’uno dall’altro: Nancy, ora di 2 anni, Austin, 1, e Susan, l’ultima piccola arrivata la scorsa estate.
DEFINISCI LA NORMALITA’ – In un video girato e postato a fine luglio su Youtube, Beatie, col pancione di 9 mesi, annunciava sorridente di essere pronto a correre in ospedale a partorire, cronometro alla mano per monitorare le contrazioni e tutona comoda con su scritto “Definisci cos’è la normalità” che rimanda al suo sito definenormal.com.
“Siamo emozionati, mia moglie Nancy e io l’abbiamo desiderato fortemente”. Nancy, che appare in video mentre porta fuori la spazzatura e taglia l’erba del giardino per dimostrare che i ruoli di coppia sono sì capovolti ma che la famiglia funziona in modo perfettamente normale, afferma “mi dispiace che Thomas debba provare dolore, ma ne varrà la pena, come sempre”.
TURKEY BASTER – La vita di Beatie continua a scorrere sotto i riflettori e tiene aperto il dibattito su cosa si intenda per famiglia tradizionale. Il fatto che il “mammo” sia rimasto incinto usando una semplice pompetta per autoinseminazione (la cosiddetta Turkey Baster Insemination) non toglie nulla alla gioia di avere un bambino. La serenità con cui Thomas e Nancy affrontano la propria quotidianità può essere la prova concreta che quando la coppia è felice e i bambini crescono sereni e appagati le questioni di principio lasciano un po’ il tempo che trovano.
Excursus sulle posizioni controverse del prof negazionista che ha fatto scalpore: dubbi sulla Shoah, Israele dietro l’ 11 settembre e parole di ammirazione per l’umanità di Ahmadinejad.
Oramai tutti sanno chi è il professor Claudio Moffa perché una decina di giorni fa le sue oramai famose posizioni revisioniste riguardo alla Shoah sono tornate alla ribalta. L’opinione pubblica, abituata ad associare il negazionismo a Ahmadinejad o al massimo a qualche prete pazzo ha avuto una bella doccia fredda. Un docente universitario, uno storico dal curriculum chilometrico mette in dubbio l’Olocausto così come ci è sempre stato presentato, e non solo quello. Nel suo sito ricco di saggi, dossier, ricerche e articoli non si parla solo di Shoah ma anche della responsabilità di Israele dietro l’attentato alle Twin Towers e alla morte di Enrico Mattei, il presidente dell’Eni vittima di un incidente aereo nel 1962.
ISRAELE DIETRO L’11 SETTEMBRE - In un articolo uscito l’anno scorso su policamentecorretto.com, Moffaaffermava che, riguardo all’attentato alle Torri Gemelle “attraverso i primi articoli su internet e testate cartacee di sinistra, e soprattutto con un saggio pubblicato nei Quaderni di Contropiano nel gennaio 2002 sostenevo – già allora – che il vero obiettivo dell’attentato era creare un clima di odio fra mondo arabo e Occidente, e in particolare, fin dal settembre 2001, colpire e distruggere l’Iraq di Saddam Hussein“. In un altro saggio dal titolo eloquente I tre aspetti “soggettivi” dell’unitarietà dei teatri di crisi afghano e palestinese, la cosiddetta nuova “Yalta”, il sostegno sionista all’estremismo islamico e l’ombra di israele negli attacchi dell’11 settembre si parla delle connivenze e convergenze tra lo stato della Stella di David e terrorismo islamico, che nell’11 settembre hanno trovato il loro più perfetto coronamento. Il presupposto è quello che ci sia una inscindibile relazione, anzi, linkage, tra lotta al terrorismo islamico e questione israeliana e che sia prima che dopo l’11 settembre fosse sotto gli occhi di tutti il rapporto tra il Mossad e Bin Laden e tra Israele e estremisti islamici in Cecenia, Kosovo e Bosnia. Ma tornando agli attentati del 2001, Moffa afferma che considerando la dinamica complessa, il tempo necessario per prepararli, il numero considerevole di persone coinvolte attivamente, e “l’accertata capacità dei grandi servizi segreti del mondo (a cominciare dalla Cia e dal Mossad) di monitorare, se non addirittura di infiltrarsi in quale che sia organizzazione “eversiva” del pianeta, è evidente che gli attentati dell’11 settembre hanno goduto della copertura indiretta, se non dell’aiuto diretto di centrali occulte di potere, che molto probabilmente hanno ben poco a che fare – almeno immediatamente – con l’Islam e con i paesi della “lista nera” che si intenderebbe colpire”. Moffa abbraccia quindi la tesi cospirazionista simile a quella di Giulietto Chiesa ma si discosta dalle posizioni di quest’ultimo nella misura in cui include il Mossad nella cabina di regia accanto alle lobby deviate statunitensi. Ecco alcune delle argomentazioni a supporto: “la notizia che 4000 impiegati ebrei sarebbero stati invitati dal Servizio di Sicurezza israeliano (Shin Beth), proprio il giorno dell’attentato, a non recarsi al lavoro nel World Trade Center. (…) Il dato di fatto che il grande-affittuario delle due Torri distrutte Larry Silverstein – un ricco finanziere ebreo, frequentatore di Rabin, Nethanyau e Barak e presidente dell’American Jewish Congress – aveva siglato il contratto d’affitto quell’aprile (un contratto che perdeva validità proprio in caso di attacco terroristico) e che, grazie a questa clausola e alla parallela e separata assicurazione di rito, avrebbe guadagnato dall’abbattimento dei due grattacieli all’incirca 1,3 miliardi di dollari“. Insomma, Israele che vuole spingere gli Stati Uniti allo scontro di civiltà e proprio facendo loro capire cosa significa avere il “nemico in casa” se ne conquista empatia e incondizionato sostegno economico e politico.
MATTEI UCCISO DA ISRAELE – Ma uno degli argomenti che a distanza di decenni ancora infiammano il docente antisionista è la morte di Enrico Mattei, il presidente dell’Eni scomparso in un incidente aereo nel 1962. Moffa, che ha scritto fior di saggi e libri sul tema, considera evidente la responsabilità di Israele. Nell’articolo “Il caso Mattei e il conflitto Arabo-Israeliano (1961-1962)” pubblicato su Eurasia tre anni fa e in una relazione di agosto, il professore sostiene che Eni non avesse mai nascosto le sue riserve nei confronti dello Stato ebraico e che ” la questione-Israele sia stata centrale in tutta la battaglia di Mattei non solo per ragioni oggettive e “geografiche” – in Israele non c’è petrolio – ma anche per un di più di soggettivo e volontario che anima la linea di azione del fondatore dell’ENI, e di cui il rapporto strettissimo con Nasser e il sostegno attivo alla guerra di liberazione algerina sono gli emblemi principali”. Ricapitolando, Mattei, ex partigiano vicino ai movimenti anticoloniali e anti-imperialisti, per il sostegno offerto al Fronte di LiberazioneNazionale algerino contro la Francia e per lo stretto legame di amicizia che lo legava all’allora presidente egiziano Nasser considerato a quel tempo un nuovo Hitler per la sua spinta antisionista entra nel libro nero di Israele. Moffa afferma inoltre che la demonizzazione di Nasser messa in atto negli anni Sessanta ha spianato la strada alle “mostrizzazioni successive, Saddam Hussein ieri, Ahmedinejad oggi”.
A Lucerna, la direttrice che aveva rimosso i simboli dalle classi ci ripensa: croci di pietra senza corpo di Cristo non offendono la laicità.
Circa una settimana fa, dopo le proteste del padre di un alunno, la direttrice di una scuola svizzera aveva deciso di applicare un una sentenza del Tribunale Federale di vent’anni fa e togliere il crocifisso dalle classi. Ma ora un’interpretazione morbida della stessa delibera del 1990 ha dato il via ad un’applicazione della laicità all’acqua di rose.
LE PUNTATE PRECEDENTI – Nella cittadina svizzera di Triengen, nel Canton Lucerna, una decina di giorni fa un genitore afferma che il crocifisso appeso nella classe frequentata dalla figlia è offensivo nei riguardi di chi non ha fede cattolica. Katrin Birchler, vice direttore della sede di Lucerna per l’istruzione elementare dichiara al Neue Luzerner Zeitung: “Fondamentalmente va bene appendere le croci nelle aule scolastiche , finché qualcuno non se ne lamenta”. Infatti, appena il padre della studentessa protesta, il crocifisso viene staccato dal muro. Ricordiamo, per la cronaca, che per aver compiuto lo stesso gesto, un insegnante del Canton Vallese, Valentin Abgottspon, era stato licenziato in tronco.
LAICITA’ SOFT – Su Blick.ch si legge ora che le Autorità svizzere hanno deciso di applicare la sentenza del 1990 sulla laicità, sì, ma dandone un’interpretazione letterale: niente più crocifissi e sì alle croci senza corpo di Cristo. Nude croci in pietra sostituiranno i tradizionali simboli che vegliano sugli studenti da secoli a questa parte. David Schlesinger (foto), libero pensatore svizzero, è andato su tutte le furie: “questo è un esperimento fuori di testa che la scuola sta cercando di fare per aggirare una legge!”. Il padre che aveva alzato il polverone dieci giorni fa, di fronte a questo tentativo di compromesso che però non tutela i laici in nessun modo si dice pronto a riportare il caso al Tribunale Federale che a questo punto chiarirà cosa intendesse del 1990. Ricordiamo che a favore della rimozione del crocifisso erano solo i Giovani Socialisti ora spalleggiati, oltre che dal Tribunale dei Diritti Umani di Strasburgo, dall’Associazione Svizzera dei Liberi Pensatori che ha piena fiducia nel fatto che la sentenza verrà chiarita ribadendo che non c’è alcuna differenza tra croce e crocifisso.
Durante un dibattito televisivo un membro dei democristiani si lascia andare a commenti omofobi e 30 mila membri abbandonano la congregazione Luterana. Con un click.
Se fossi gay probabilmente me ne andrei in Finlandia. No, marimoni e adozioni non c’entrano niente visto che nella nazione scandinava non sono ancora stati autorizzati per legge. Si tratta di qualcosa di più profondo e di più importante: sto parlando del sostegno e dell’indignazione della gente. Della sua autonomia di pensiero e della certezza che esistano dei diritti che non dipendono dalla religione ma che appartengono a tutti in quanto esseri umani. Uno di questi è sicuramente il diritto a non essere discriminato.
IL PUNTO -Il 12 ottobre il canale finlandese pubblico Network 2 (Yle) manda in onda un dibattito incentrato sui diritti degli omosessuali. I leader nazionali delle organizzazioni LGBT hanno trovato come contraltare (sottolineando altare) Päivi Räsänen (foto), capo dei democristiani e membro attivo della Chiesa Luterana Evangelica. Morale della favola: come testimonia un articolo dell’Huffington Post, i toni sono rimasti sorprendentemente pacati (ma questo dipende molto dalla tempra non proprio sanguigna delle popolazioni scandinave) e l’effetto che il programma ha sortito è stato cento volte più significativo ed efficace di un milione di leggi e leggine.
ESODO – Come si legge sull’Helsinki Times, il dibattito ha dato inizio ad un vero e proprio esodo di massa di fedeli che hanno deciso di appendere il rosario al chiodo e lasciare la congregazione della Räsänen. Finora sono 30.000 i membri della chiesa Luterana ad avere abbandonato la fede sdegnati. Perché? E’ questa la cosa che stupisce: dimenticatevi argomentazioni schock e frasi da neonazi. Le pezze d’appoggio della fazione “anti-gay” del dibattito erano sempre le stesse, fritte e rifritte, che sentiamo in giro per le nostre strade italiane 24 ore su 24 ma che i Finlandia creano scalpore e soprattutto imbarazzo. L’omosessualità è una scelta di vita contro natura. Il matrimonio gay è inaccettabile perché si sa che la sacra famiglia è formata da uomo e donna. Se autorizziamo le coppie gay non ci saranno più bambini e il genere umano si esaurirà. E poi la Bibbia dice che è sbagliato. Beh, considerando che la Bibbia giudicava inaccettabile che la donna indossasse i pantaloni o che si mangiassero i molluschi e accettabile invece la lapidazione o la vendita di schiavi, perché prenderla alla lettera proprio quando parla di omosessualità? E poi, siamo 6 miliardi sulla Terra, siamo proprio sicuri che l’argomentazione sull’impellente estinzione del genere umano sia pertinente? Infine, il matrimonio come istituzione civile non ha niente a che vedere con sacre coppie e sacre famiglie, perché confondere il sacro col profano (anzi, laico)? Insomma, in Finlandia lasciarsi andare ad uno di questi tormentoni senza tempo corrisponde a perdere credibilità e rispetto vista l’emorragia di fedeli che ha interessato la Chiesa Luterana dopo il dibattito. In Italia invece si fanno le leggi basandosi sui principi ripudiati dai cristiani finlandesi.
IL “DIVERSO IN CHIESA” – E’ interessante come il Ministro finlandese della Cultura, Stefan Wallin, responsabile per le questioni che riguardano il rapporto tra Stato e religione si è rivolto alla Räsänen: “Se il suo obiettivo era quello di far perdere fedeli alla Chiesa riportandola a posizioni arcaiche che lo dica chiaramente senza scappare quando le sue dichiarazioni discriminatorie si ripercuotono sulla reputazione e sulle finanze della Chiesa”. Altra curiosità: per aiutare i fedeli a lasciare in modo più pratico ecco che è nato il sito eroa kirkosta (traducibile più o meno come “accettiamo il diverso nella Chiesa”) che permette ai fedeli di cancellarsi dal registro della congregazione in un solo click.
Negli Stati Uniti i blog radicali cattolici si diffondono a macchia d’olio. Obiettivo: smascherare gli eretici e denunciarli al Vaticano via e-mail.
Negli Stati Uniti i cattolici fedeli alla linea hanno deciso di iniziare a fare nomi per contrastare la deriva eretica dei rappresentanti della Chiesa di Roma. Fin qui, se fosse solo un servizio di “religious-watchdog” dedicato ai fedeli americani non ci sarebbe niente di male. Il problema si crea quando i siti cattolici partono per una crociata senza quartiere arrivando anche a scavare nel passato dei vescovi e sacerdoti per trovare anche il minimo dettaglio che possa screditarli. In particolare, su Msnbc e sull’Huffington Post si legge che tre sono i campi di battaglia su cui si sta combattendo la crociata cattolica 2.0.
PRETE COMUNISTA – Bryan Hehir è un consigliere del cardinale di Boston e da qualche tempo ha vita molto dura. A marzo un manipolo di cattolici radicali della capitale del Massachussets ha aperto un blog apposta per lui (Bryan Hehir Exposed) e da 7 mesi a questa parte non fa che ribadire come mai Hehir sarebbe un eretico da sbattere fuori dalla Chiesa Romana. In un post di tre giorni fa intitolato “Conservatori teologici che non hanno paura di scrivere e di chiamare a raccolta i fedeli” i gestori del blog hanno ricapitolato in modo chiarissimo quali siano le loro argomentazioni:
Nel 1980 Hehir ha avuto rapporti professionali con l’Institute of Policy Studies , un think tank progressista creato da due consulenti di JFK e definito nel blog “di stampo marxista”.
Il suo buon rapporto con il sindaco di Boston a favore dell’aborto e dei matrimoni gay.
La sua opposizione alle linee di guida del 2004 date dall’allora Cardinale Ratzinger che intimavano a non votare per i candidati pro-aborto.
Il suo sostegno alla Catholic Health Association che con Obama mira alla creazione di un sistema sanitario pubblico che prevede stanziamento di denaro statale anche per gli aborti.
CANCRO DA ESTIRPARE – Micheal Voris, di Real Catholic TV (video) afferma: “Siamo impegnati in una caccia alle streghe come un medico è impegnato nella ricerca di un cancro da estirpare. Quello ce facciamo è puntare i riflettori su quelle persone che si professano cattoliche ma non vivono come tali”. Nel video sottostante, Voris afferma la necessità che gli Stati Uniti vengano trasformati in una dittatura cattolica, retta da un unico monarca teocratico benevolente perché mosso dai principi cattolici.
Voris è stato definito un “talebano cattolico” dall’esperto di Vaticano John Allen del National Catholic Reporter. Il canale di Voris, Real Catholic TV, ha anche i suoi 007: la CIA, che sta per Catholic Investigative Agency, scava nel passato e nel privato dei sacerdoti a vari livelli e “porta alla luce le oscure malefatte dei cattolici solo di nome che stanno dirottando la chiesa verso i propri obiettivi e non verso quelli di Cristo”. In un episodio di Real Catholic TV dal titolo “Catholic Tea Party” Voris afferma: “Bisogna espellere i traditori. Ecco perché i cattolici devono conoscere bene la propria religione per riconoscere gli eretici, i preti e le suore traditrici non solo per sbatterli fuori ma anche per pregare per loro e per la loro redenzione”.
CATTOLICI TALEBANI CONTRO PROGRESSISTI - Insomma, quando si parla di cattolici che si uniscono contro le mele marce vaticane ecco che la mente vola alle orribili vicende che coinvolgono preti e pedofilia. Invece no. I blog e i siti “taleban-cattolici” se la prendono con i preti progressisti, quelli che dimostrano flessibilità riguardo alle tematiche dell’omosessualità e dell’aborto. E’ una polemica tutta politica quindi in cui i cattolici radicali ultra conservatori si scagliano contro la chiesa romana “marxista”. Anche se in realtà John Allen afferma che anche i liberali possono ritrovarsi in alcune posizioni, soprattutto quando si mette in discussione il potere “materiale” di alcuni membri della Chiesa Cattolica. Per onore di cronaca, non sono tutti taleban-cattolici: Thomas Peters, creatore del sito “American Papist” smorza i toni. Riguardo ai suoi compagni cattolici radicali e alle loro uscite al vetriolo, Peters afferma che si tratta solo di un’ondata di entusiasmo data dalla cassa di risonanza offerta dalla Rete. Il suo approccio è a suo dire più “positivo”. Oltre a condannare le mele marce il venticinquenne Peters ha creato “Vescovi con la spina dorsale” (Bishops with backbone), una rubrica che tesse le lodi dei preti più virtuosi che accusano i loro colleghi corrotti dal progressismo e dal progresso (ndr) e una funzione per mandare messaggi di gratitudine ai sacerdoti che mettono in pratica gli insegnamenti cattolici (negando la comunione ai gay, per esempio). Voris sull’ Huffington Post afferma: “La sensazione generale è quella che nonostante le lettere e e i richiami da parte dei fedeli, i vescovi e i preti continuano a tenere comportamenti da infedeli. Penso che i cattolici ne abbiano abbastanza e siano pronti a passare dalle parole ai fatti“. Si prevede un’impennata dei profitti delle industrie che producono fiaccole e forconi.
Il governo di Ahmadinejad limita l’accesso delle donne all’università perché questo mina la loro predisposizione alla cura della famiglia. E poi non sarebbero al sicuro.
E’ di ieri la notizia che il governo iraniano ha deciso di porre restrizioni su ben 12 corsi universitari perché non in armonia con i principi religiosi. Sono discipline basate su teorie occidentali che confliggerebbero con l’Islam e che quindi non sono compatibili con i programmi autorizzati dal governo. Gli insegnamenti incriminati includono le scienze politiche, la psicologia, il diritto, la filosofia e il management, ma quello che più preoccupa il governo iraniano è sicuramente lo studio di genere riferito ai cosiddetti “Women Studies“. Abolfazl Hassani, definito dal Canadian Press “senior education officer” è stato chiaro: le scuole non potranno attivare nuovi corsi su questi argomenti e il 70% dei programmi già esistenti saranno passati al vaglio di commissioni ispettive. La decisione è stata interpretata come la concretizzazione della preoccupazione dell’Ayatollah Ali Khamenei che ha affermato che gli insegnamenti incriminati possono portare dubbi religiosi nelle menti dei giovani iraniani.
DONNE CHE SEMINANO IL PANICO – Un osservatore esterno che si trovi per le mani i numeri riguardanti le iscrizioni e il conseguimento di titoli accademici da parte di donne in Iran sarebbe portato a credere che le studentesse non incontrino alcun ostacolo: le donne che studiano all’università rappresentano infatti il 49,5% dell’intero “corpo studentesco”. Piccolo dettaglio: da due anni a questa parte il numero delle donne iraniane iscritte all’università è calato più o meno del 10%. Sì perché, come affermava la BBC nel 2006, in alcune facoltà le donne che conseguivano la laurea toccavano picchi del 70%, scatenando il panico generale nelle istituzioni. In quell’occasione il giornalista e commentatore di fatti sociali Sayed Laylaz aveva affermato che gli uomini avevano la sensazione che per guadagnare bene non fosse fondamentale avere un’istruzione superiore. I loro posti erano quindi andati a sempre più giovani donne che volevano liberarsi dal dominio maschile. Massoumeh Umidvar, studentessa, madre e lavoratrice aveva ribadito: “Noi donne vogliamo dimostrare di esserci e di avere molto da dire. Per anni abbiamo vissuto nell’ombra dei nostri padri, fratelli e mariti. E’ giunta l’ora di uscirne”. Laylaz aveva poi affermato, sempre in quella stessa occasione che sperava che quelle stesse donne stessero spianando la strada per un cambiamento sociale e politico dell’Iran. La profezia non si sta avverando.
ALLARME E PROEOCCUPAZIONE – Il numero delle studentesse è infatti calato in modo drammatico. Le autorità in un report stilato nel 2008 dal Centro di Ricerca del Parlamento iranianoaffermano che il sempre più importante coinvolgimento delle donne in ambito accademico mina la loro predisposizione al matrimonio e alla cura della famiglia e per questo deve essere arginato. Lo giudicava un fenomeno allarmante e preoccupante e intimava il Governo a prendere provvedimenti. Questo non se lo è fatto ripetere due volte e, come testimonia l’attivista per i diritti delle donne Shadi Sadr, ha introdotto delle quote di genere in quei corsi di laurea in cui le donne rappresentavano la netta maggioranza e che sono considerati tradizonalmente maschili: medicina e ingegneria sono due di questi. Secondo Sadr, un ulteriore strumento è stato quello di spingere le donne ad iscriversi a piccole università di provincia più vicine alle loro famiglie che possono quindi continuare ad esercitare su di loro il proprio controllo.
STUDENTESSE IN PERICOLO – Il report parlava anche di difficoltà logistiche al fine di garantire la sicurezza dei dormitori femminili. Questa secondo le autorità sarebbe una ragione in più per rimandare a casa le studentesse che frequentando l’università sarebbe più esposte a pericoli. In altre parole, la nazione che terrorizza gli USA e il mondo intero millantando della propria potenza militare ha quindi ammesso di non saper difendere un dormitorio abitato da un pugno di ragazze. Cosa non si fa per arginare l’emancipazione femminile.
Paura per la cancelliera tedesca, che per la terza volta si trova in casa lo stesso individuo. Era arrabbiato perché lei non rispondeva alle sue lettere.
La Cancelliera tedesca Angela Merkel ha ufficialmente uno stalker. Come le star di Hollywood. Il quotidiano tedesco Bild racconta che durante il week end il Presidente si trovava con il marito Joachim Sauer nella tenuta di campagna nella regione dell’ Uckermark, Germania nord-orientale. Un posto piuttosto sperduto per raggiungere il quale è inevitabile passare davanti ad un posto di blocco mobile creato apposta per salvaguardare la sicurezza del Cancelliere. Per questo motivo, quando lo stalker si è intrufolato nella recizione nessuno poteva crederci.
BUONA LA TERZA – Ma il soggetto è una vecchia conoscenza della Merkel e della sua scorta perché in altre occasioni aveva provato ad avvicinare il Presidente durante i giorno di riposo trascorsi in campagna. La prima volta aveva perfino suonato il campanello, pensando di poter infilarsi in casa del politico più potente di Germania passando dalla porta principale. Una seconda volta aveva semplicemente tentato di infiltrarsi dal cortile ma, oltre ad essere stato schedato e cacciato dalla Polizia, ha anche scoperto miseramente che Angela non era in casa: tanto rumore per nulla. Alla terza cel’ha fatta a finire sui giornali anche se il suo nome non appare né sul Bild né sul Welt, che ha ripreso la notizia.
ARRABBIATO – Ma non è finita qui. Pare che lo stalker non si concentrasse solo sulla residenza di campagna. Qualche settimana prima infatti era stato beccato mentre cercava di intrufolarsi nell’appartamento di Berlino del Cancelliere. Ma perché questa ossessione? Angela non rappresenta esattamente il bersaglio di un maniaco ossessionato dall’immagine sensuale della vittima con cui è convinto di avere una relazione (come invece accade presumibilmente nella testa degli stalker delle star). Un mitomane? Neanche. Sembra che l’uomo fosse piuttosto arrabbiato con la Merkel perché non rispondeva mai alle sue lettere. Al momento è stato sedato presso un ospedale psichiatrico della regione ma, dato che evidentemente non verrà arrestato, non è dato sapere se ci proverà ancora una volta. Forse la MerkelAngela dovrebbe rispondere ad una sua letterina come assicurazione sulla vita.
ATTI PERSECUTORI - In Italia il reato di stalking è stato introdotto l’anno scorso dal Ministro per le Pari Opportuità Mara Carfagna sotto la dicitura “atti persecutori” punibili con reclusione fino a 4 anni. Una sentenza della Corte di Cassazione del luglio di quest’anno afferma che già alla seconda minaccia/appostamento/abbordaggio molesto si può parlare di stalking. Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Stalking, in un caso su due le minacce sono a opera di “ex mariti, ex conviventi, ex fidanzati, ma possono essere compiute anche da conoscenti, colleghi o estranei: almeno il 20 per cento di italiani, soprattutto donne, ne sono stati vittime dal 2002 al 2007″.
Il termovalorizzatore funziona poco, male e brucia soldi invece che rifiuti. La Protezione Civile minimizza mentre Impregilo batte cassa.
L’inceneritore di Acerra, quello inaugurato da Berlusconi e Bertolaso a dicembre come soluzione miracolosa all’emergenza rifiuti in Campania continua a dare segni di cedimento. Funziona a scartamento ridotto da mesi e non pare affatto rappresentare il “dono di Dio” di cui parlò il Premier in occasione della prima accensione.
UNA SU TRE – In un articolo del Sole 24 Ore a firma Mariano Maugeri si legge lo stralcio di una relazione stilata dall’Osservatorio per il termovalorizzatore formato da ARPAC, ASL, e dalla A2A Partenope, la società che gestisce l’impianto: “La linea 1 è rientrata in servizio il 14 luglio del 2010; la linea 3 è ferma dal 17 agosto; la linea 2 è ferma dal 7 settembre 2010. Si tratta di interventi relativi a indispensabili aggiornamenti impiantistici. (…). Per la linea 2 non sono ancora quantificabili i tempi di riavvio, essendo in atto indagini e verifiche e tenendo conto della fase di approvvigionamento dei materiali. Sulla linea 1 è stata inserita una valvola del surriscaldatore di cui verranno dotate anche le altre linee. In particolare, la camera di combustione è stata rivestita in una superlega denominata Inconel (nichel e cromo, senza ferro), lavoro molto oneroso e lungo che migliorerà di molto la resistenza dell’impianto”. C’è chi dice che questi interventi mirino a rendere ancor più sicuro ed efficiente il termovalorizzatore e chi invece, come gli ambientalisti e l’ex deputato di Rifondazione, Tommaso Sodano sostiene che questi costituiscano una ristrutturazione radicale causata dalla cattiva qualità del carburante immesso e dei materiali prodotti e dalle emissioni inquinanti che in più occasioni avevano sforato i limiti. Sul Fatto si leggeva a settembre che secondo i dati dell’ARPAC “nella zona di Acerra, Pantano dove sorge l’inceneritore, le polveri sottili, hanno sforato i limiti consentiti in ben 250 giorni su 500 (il limite è di 35 sforamenti annuali)”.
UN IMPIANTO NATO VECCHIO - Già ad aprile, in un articolo del Corriere del Mezzogiorno si leggeva che una delle tre linee era già fuori servizio abbassando di molto la capacità di combustione dell’impianto. Da più di 2 mila tonnellate al giorno, con due sole linee in funzione si era scesi a circa 1.400 tonnellate. L’Assessore all’Ambiente della Provincia di Napoli Giuseppe Caliendo aveva allora affermato che “per quello che ci è stato comunicato, a stretto giro l’intervento di manutenzione sarà terminato”. Evidentemente non è stato così visto che sono ora 2 le linee non operative. Il Fatto Quotidiano, un mese e mezzo fa riportava la dichiarazione di Bertolaso al tempo dell’inaugurazione del termovalorizzatore di Acerra: “Il dato inconfutabile è che ci sono 6 discariche a norma, 7 impianti Stir attivi e un termovalorizzatore che funziona come un orologio svizzero, non inquina e produce reddito (…) Aver risolto questa emergenza è dunque per me la maggiore soddisfazione possibile”.
IMPREGILO BATTE CASSA – La posizione di Bertolaso mal si sposa con la relazione dell’Osservatorio che non pare analizzare l’operato né di un orologio svizzero tantomeno di una macchina da soldi visto che gli interventi sono definiti onerosi dall’Osservatorio stesso. Sul non inquinamento poi, i dati dell’ARPAC parlano chiarissimo. Sul fattore “soldi” si apre poi un terreno accidentato alimentato da mille polemiche. Anzi, da una sola. Impregilo, la mega azienda costruttrice incaricata a suo tempo per la creazione dell’impianto afferma di non aver ricevuto neanche un centesimo dallo Stato. Sul Sole 24 Ore si legge la dichiarazione di Impregilo stessa che non ha ben chiaro neanche da dove dovrebbero arrivare i soldi per saldare l’operazione: “Forse in pochi sanno che di un impianto costato 355 milioni noi non abbiamo incassato neppure un centesimo. La legge 26 del 2010 per l’emergenza rifiuti in Campania, non ha chiarito chi debba pagarci: forse la Protezione civile, che ora è la responsabile del termovalorizzatore, forse Palazzo Chigi, forse la Regione Campania, a patto che riesca a spuntare una quota dei famosi fondi Fas (…) Ci dicono che con i contributi Cip 6 e l’immissione nella rete elettrica dell’energia prodotta da Acerra, la Protezione civile abbia incassato da gennaio a oggi circa 6o milioni. Avrebbe potuto rappresentare un congruo anticipo della somma che aspettiamo di incassare da anni e per la quale ci siano appellati anche alla Corte Ue, ma a noi non è arrivato nulla”. E dire che Berlusconi voleva esportarlo in altre quattro regioni definendolo un prototipo da riproporre altrove. Per carità, se le cose restano così un’Acerra basta e avanza.